La scienza espressa

Per non dimenticare Hiroshima

Ottant’anni fa, la mattina del 6 agosto alle 8:15, ora locale. Il B-29 degli Stati Uniti sganciò “Little Boy” sul centro di Hiroshima; i suoi 60kg di uranio 235 provocarono una esplosione della potenza equivalente a quella di 15 000 tonnellate di tritolo. Il sensore altimetrico era tarato per effettuare lo scoppio alla quota di 600 metri dal suolo, dopo 43 secondi di caduta libera. La quota era stata scelta per provocare il massimo della distruzione a terra. Si stimano circa 70 000-80 000 morti immediati, e un totale di oltre 130 000 – 140 000 morti entro la fine del 1945, incluse le vittime delle radiazioni.

Little Boy, la bomba atomica sganciata su Hiroshima.
Hiroshima dopo il bombardamento

Tre giorni dopo, Fat man una bomba al plutonio, dalla potenza equivalente a quella di oltre 20 000 tonnellate di tritolo, fu sganciata sulla città di Nagasaki. Le vittime immediate furono circa 40 000, e il bilancio totale superò le 70 000 persone.

Fat man

Per anni si è discusso sulla necessità, e sulla giustificazione di questi attacchi: concludere la guerra con il Giappone (che si arrese pochi giorni dopo), salvare le vite dei militari americani e degli stessi giapponesi, dare una dimostrazione di potenza all’ora alleata Unione Sovietica. Leslie Richard Groves il generale responsabile militare del Progetto Manhattan, ebbe a dire che, fin dall’inizio del progetto, non aveva mai dubitato che uno degli obiettivi fosse dell’intimidazione dell’Unione Sovietica. Anche il Padreterno fu scomodato;  Harry Truman, il nuovo Presidente degli Stati Uniti, in un messaggio alla nazione disse: “Ringraziamo Dio che la bomba atomica l’abbiamo noi, invece dei nostri nemici, e preghiamo …”

Dopo di allora le armi nucleari non sono più state impiegate in guerra, anche se in qualche occasione (crisi di Suez e di Cuba) ci si è andati vicino. L’umanità ha convissuto con le armi nucleari per 80 anni, senza autodistruggersi.

Oggi la lezione di Hiroshima è dimenticata, nonostante molti campanelli d’allarme?

L’impiego della bomba in un contesto bellico non è piú un taboo o una ultima difesa, risorge invece come una minaccia quotidiana, e sembra che il prezzo umano sia di nuovo accettabile. Non sono soltanto parole: gli strumenti di controllo crollano, i trattati non vengono più ratificati, la “Non-proliferazione” è cosa del passato.

Negli ultimi 30 anni, dal crollo dell’Unione Sovietica, la prospettiva di una guerra nucleare era svanita dalla coscienza mondiale. Oggi si assiste al processo inverso.

Diversi fatti destano preoccupazione.

Nel corso dei decenni si sono svolte con successo molte trattative sui test nucleari, sulla “non proliferazione” nucleare, per il controllo e la riduzione degli arsenali, sulle zone denuclearizzate, eccetera. Oggi alcuni di questi trattati trattati sono compromessi. La Russia non ha ratificato il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT). Nell’autunno del 2018 il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump ha annunciato il ritiro dal trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty), accusando la Russia di non rispettare l’accordo. Vladimir Putin sembra deciso a sospendere la sua partecipazione all’accordo sulla limitazione delle armi nucleari, il trattato New START, che ha sostituito i due precedenti accordi Start 1 e 2

Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano nel 2018 e il recente bombardamento americano dei siti nucleari aprono un altro conflitto. Ricordiamo che secondo l’AIEA l’Iran ha accumulato circa 120 chili di uranio arricchito al 60%, prossimo a quel 90% necessario per una bomba; l’Iran nega di voler fabbricare armi nucleari. Ma, se così non non fosse, l’Arabia Saudita probabilmente seguirebbe l’esempio.

I recenti aspri  scontri tra India e Pakistan, la più grave violenza tra i due rivali nucleari degli ultimi decenni, ci ricorda che i rischi di un’escalation nucleare non sono scomparsi, né esclusivi delle grandi potenze.

Nelle ultime settimane un numero sempre maggiore di Paesi non nucleari discute se dotarsi di armi proprie; in Corea del Sud c’è un dibattito molto acceso.

Più allarmante è il crescente tintinnare di sciabole sull’impiego di armi nucleari.

Nel 2021 il generale Mark A. Mill è intervenuto per impedire qualsiasi tentativo da parte di Trump di usare armi nucleari negli ultimi giorni del suo primo mandato; nel marzo 2022 Biden aveva detto: “Opzione nucleare? In circostanze estreme”.

Nell’ottobre 2022 Vladimir Putin ne aveva escluso l’impiego, ma un mese prima aveva dichiarato che la dottrina militare russa non esclude l’arma nucleare in caso di minaccia diretta al suo territorio. Nel marzo 2023 ha annunciato che avrebbe trasferito in Bielorussia missili tattici nuleari; questo avviene tre mesi più tardi. Il presidente Lukashenko dice: “Sono tre volte più potenti da quella di Hiroshima.” Putin commenta: “Hanno una funzione di deterrente …. abbiamo più atomiche della NATO”.

Maggio, il polacco Duda: “Siamo pronti all’atomica contro l’escalatiob russa. Mosca è la più grande minaccia per l’Europa”.

Orbàn: “Europa e Nato preparano l’attacco alla Russia, noi non parteciperemo.” Macron propone l’ombrello nucleare francese a protenzione degli stati dell’UE.

Lavrov, ministro degli esteri russo: “Possiamo aumentare la nostra credibilità di deterrenza nucleare.” Un consigliere di Putin propone una esplosione dimostrativa.

Medvedev, ex presidente: “Non fate errori, noi sull’uso di armi nucleari tattiche non bluffiamo”; e, in seguito, la Russia sarebbe pronta a utilizzare “qualsiasi, arma anche quella nucleare” per difendere i risultati dei referendum di annessione dei territori orientali ucraini.

Il discorso di Vladimir Putin pronunciato nella Giornata internazionale della Pace ha messo in allarme anche coloro che, pur di provare a difendere la legittimità degli arsenali nucleari, hanno sempre minimizzato i moniti delle organizzazioni della società civile per il disarmo. Nel confermare una mobilitazione militare parziale delle forze della Federazione Russa, Putin ha prefigurato il possibile utilizzo di armi nucleari “in caso di minaccia all’integrità territoriale del nostro Paese e per difendere la Russia e il nostro popolo”.

Nel giugno 2024, Putin annuncia che valuta modifiche alla dottrina nucleare russa con un abbassamento della soglia, che renda possibili attacchi preventivi”.

Ultimamente abbiamo visto la minaccia nucleare brandita da Putin in modo allarmante: “La Russia è pronta a usare armi nucleari se vedrà minacciata l’esistenza dello Stato russo o se subirà un attacco contro la sua sovranità”. Una minaccia esplicita di questa gravità non era mai stata pronunciata.

Stoltenberg: “Per la pace servono più testate atomiche in Europa contro la minaccia di Russia e Cina”.

Il mese dop gli USA annunciano che dislocheranno in Germania missili atomici a lunga gittata, puntati contro Mosca per deterrenza”. Sholtz: Servono per la pace”. La Russia risponde: “Reagiremo”.

Queste, e altre criticità, imporrebbero ampie reazioni per allontanare i rischi. Molte sono le iniziative nel recente pessato, o in atto.

Nel 2017, 122 Stati hanno votato un Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), una norma legale che offre una potente alternativa ad un mondo in cui si permetta alle minacce delle armi di distruzione di massa di prevalere.

Oggi la situazione globale richiede la collaborazione con organizzazioni come la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), l’International Physicians for the Prevention of Nuclear War (IPPNW), l’organizzazione dei sopravvissuti alle bombe atomiche, recentemente insignita del Premio Nobel per la Pace, la Physicists Coalition for Nuclear Threat Reduction, l’Unione Scienziati Per Il Disarmo, le Conferenze Pugwash su Scienza e Affari Mondiali, Premio Nobel per la Pace nel 1995, e molte altre.

Come reagisce l’opinione pubblica mondiale a questi campanelli d’allarme? Ignorandoli, o con indifferenza. Lo stesso accade per il mondo politico. È in parte comprensibile. La scena internazionale è dominata dall’interminabile aggressione della Russia in Ucraina e dal criminale massacro di decine di migliaia di civili palestinesi innocenti a Gaza e in Cisgiordania.

Oggi, l’interesse eventualmente è rivolto all’impiego di nuovi tipi di armi, come i droni teleguidati.

Ora, per memoria, riportiamo i dati più significativi dopo Hiroshima.

Di esplosioni nucleari ce ne è state molte: per sperimentare il funzionamento dei nuovi ordigni o per controllare l’efficienza delle bombe depositate negli arsenali. Dal 1945 ad oggi, sono stati condotti oltre 2000 test nucleari in più di 60 siti, soprattutto da parte di Unione Sovietica e Stati Uniti. L’ordigno più devastante, la “Tsar Bomba”, fatta esplodere nel 1955, aveva una potenza di oltre 50 megatoni (equivqlenti a cinquanta milioni di tonnellete di tritolo).

L’esplosione nucleare sottomarina Baker del 25 luglio 1946 nell’atollo di Bikini. Credits: US

Di bombe ne è state costruite circa 125.000, piccole e maneggevoli, o potentissime, come le prime bombe all’idrogeno (la bomba H), per essera lanciate da aerei, missili, sottomarini, missili, obici, ecc.

Nove nazioni possiedono attualmente armi nucleari: Russia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, Francia, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord. Quasi 10 000 sono militarmente attive o schierate, pronte all’uso.

Difficile valutare l’arsenale cinese, stimato di 260 – 400 ordigni. Circa 70 – 90 bombe americane, sono stanziate in Italia, nelle basi militari di Ghedi (BS) e Aviano (PN).

Nonostante gli enormi progressi nel ridurre gli arsenali nucleari dopo la fine della Guerra Fredda, la riserva complessiva di testate resta a un livello elevato: circa 15 000 testate agli inizi del 2016. La potenza totale delle testate nucleari nei nove stati dotati di armi nucleari ha una capacità distruttiva inconcepibile: equivalente a oltre 145 000 bombe di Hiroshima.

Nel 2023 la spesa militare mondiale è stata di quasi 2500 miliardi di dollari, oltre 900 dei quali degli Stati Uniti.

Roberto Fieschi

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