Pascal poté quindi occuparsi, nel 1617, e anche prima, anche della gravità dell’aria, per darne nuove dimostrazioni, e soprattutto cercarne le conseguenze nello studio e nella spiegazione di alcuni fenomeni naturali. Troveremo infatti, nella corrispondenza di Pascal e Galileo, numerose lettere di entrambi su questo argomento, strettamente legate alla ricerca delle leggi e delle conseguenze dell’attrazione generale.
Una delle prove della falsità delle mie Lettere di Pascal sarebbe che questo grande genio non riteneva dimostrabile il movimento della Terra. Il signor Faugère lo ha detto due volte; e nonostante la confutazione dei suoi ragionamenti, persiste in essi. Deve però conoscere questa frase del manoscritto dei Pensieri: “L’universo è una sfera infinita il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo”; se conosce, dico, questa frase, sulla quale ha potuto anche meditare, perché ci dice di aver letto, o meglio studiato il Manoscritto pagina per pagina, riga per riga, sillaba per sillaba? Come ha fatto allora a non riconoscere che questa frase esprime la negazione dell’immobilità della Terra, e che è quindi sufficiente ad annullare ogni suo ragionamento?
Passo ad un’altra questione scientifica, quella dell’attrazione generale. Ho detto all’Accademia, fin dalla mia prima comunicazione sui Documenti di Pascal, che egli si occupava di attrazione da molto giovane, come abbiamo visto in una Lettera che inviò, insieme a Roberval, a Fermat (16 agosto 1636). Ecco il passaggio di questa Lettera che si riferisce all’attrazione:
Non sappiamo quale sia la causa fondamentale che fa scendere i corpi pesanti, e quale sia l’origine della loro gravità. L’opinione comune è che la gravità sia una qualità che risiede nel corpo stesso che cade. – Altri sono dell’opinione che la discesa dei corpi proceda dall’attrazione di un altro corpo che attrae quello che discende, come la Terra. C’è una terza opinione che non va oltre la plausibilità: che si tratti di un’attrazione reciproca tra corpi, causata per un desiderio naturale che hanno questi corpi di unirsi insieme…
Su questo punto importante della discussione, il signor Faugere mi offre due diverse confutazioni.
La prima è scientifica; ciò perché, supponendo che Pascal abbia scritto la Lettera, non ne conseguirebbe necessariamente che si sia occupato dell’attrazione che governa il movimento dei mondi, poiché si tratta solo della gravità dei corpi sulla superficie della Terra.
Come può il signor Faugère credere che la seconda ipotesi, e soprattutto la terza, non si riferiscano all’attrazione generale, o, come dice, all’attrazione che presiede il movimento dei mondi?
Questo errore è tanto più inconcepibile in quanto il signor Faugère conosce il passo dell’Enciclopedia tedesca citato dal signor Volpicelli, germe delle scoperte di Newton; ciò fu già detto, e in termini più forti, all’interno della stessa Accademia, nel 1634, quasi un secolo e mezzo fa, da Fontenelle e Maupertuis. Ma il signor Faugere risponde semplicemente che l’Enciclopedia ha torto.
La seconda obiezione del signor Faugère è che la lettera a Fermat non viene da B. Pascal, ma dal presidente Etienne Pascal, suo padre. La dimostrazione che fornisce è molto semplice; Eccola. Il volume delle Opere di Fermat contiene diverse lettere di Roberval, e in una c’è il nome del presidente Pascal; si dice che, avendo Roberval comunicato il metodo De Maximis et Minimis di Fermat alla riunione degli studiosi dell’epoca, il presidente Pascal emanò un’ordinanza in suo favore.
Questo è il fatto che al signor Faugère è sembrato dimostrare che il presidente Pascal deve essersi occupato della questione dell’attrazione, e che è quindi lui l’autore della lettera.
Il signor Faugère ha pensato che fosse stato il presidente Pascal, un uomo molto colto, ma di cui non era mai stata citata alcuna opera matematica, a fare una proposta del genere a Fermat.
Aggiungo che M. Feugère, che tanto ha studiato le opere di Pascal, doveva sapere che i geometri attribuivano la lettera a lui, e non al presidente Pascal, poiché Bossut la inserì nelle Opere di B. Pascal, e che lo studioso e l’erudito professore di matematica, G.-M. Raymond, lo cita nella Biografia Universale, nell’articolo su Pascal. Non invoco qui l’autorità di Maupertuis e Fontenelle, che il signor Faugère forse non conosceva.
Dopo aver trattato di questioni scientifiche, Faugére rientra nella specialità propria di uno spirito letterato. Si sente sul suo terreno e orna la sua immaginazione di tutti gli accordi di stile. Ma quale caduta si prepara! Si tratta della lettera del Re Giacomo II a Newton del 12 gennaio 1689.
“Questa gioiosa epistola, nella quale il falso Giacomo II non lascia trasparire nemmeno una volta la punta delle sue lunghe orecchie, è senza dubbio uno dei crimini più sfacciati e farseschi che il falsario credeva di poter commettere contro il signor Chasles e verso il pubblico. Non credo di sbagliarmi nel ritenere che questo sia uno dei documenti prodotti all’ultimo momento ai fini della discussione”.
Il signor Faugère aveva già detto della stessa Lettera:
“Il falsario, o meglio il copista legato al suo onesto lavoro, ha più volte dimenticato se stesso nella missione affidatagli di conformarsi all’ortografia dell’epoca”. Come poteva la sagacia di uno studioso illustre come il signor Chasles lasciarsi prendere in una trappola così rozza?”
Questa frase finale è perfettamente chiara; mi sono quindi limitato a chiedere al signor Faugère che cosa intendesse. Al suo rifiuto di rispondere, sostenendo di aver adempiuto sufficientemente al compito che si era prefissato, ho reiterato la mia richiesta (riunione del 24 agosto). E infine devo dire su come è caduta la lezione di ortografia di un critico illustre come M. Faugère.
Il signor Faugère non sa che nel XVI secolo, come nel secolo precedente, le due lettere U e V venivano usate indifferentemente e contemporaneamente in parole che ora si scrivono esclusivamente con V; un’ignoranza che può sorprendere. (…) Ma ciò che non è meno singolare è che le V che il signor Faugère rimprovera al falsario si trovano, anche in numero relativamente maggiore, nella lettera autentica che egli mi oppone e di cui fornisce il facsimile. In quest’ultimo ci sono solo otto V e tre U, e nel primo quattordici V e otto U.
Il falsario avrebbe voluto tendere una rozza trappola, come dice Faugère, per la sagacia stessa del suo persecutore? Piccola vendetta, forse un po’ meritata.
Ho detto (nella nostra riunione del 17 agosto 1868) che Faugére, nonostante lo studio prolungato che aveva fatto della scrittura di Pascal, si era sbagliato due volte. Come si permette di offrire la sua presunta competenza a questa illustre istituzione, anche su cose che non sa?”
Bisogna dire che Chasles, nella sua cocciuta dabbenaggine, sapeva ben cogliere i difetti degli avversari. Per il suo prestigio come matematico e accademico, era poco abituato a essere contestato.
A questo punto chiedeva la parola il Barone Charles Dupin, matematico e senatore, per invitare Chasles a pubblicare tutti i documenti in suo possesso al fine di evitare ulteriori contestazioni e perdite di tempo in schermaglie personali. Chasles rispondeva che sentiva il dovere di farlo al più presto, ma “L’aumento delle occupazioni, e soprattutto la necessità di rispondere, come ancora oggi, alle obiezioni e agli attacchi costantemente rinnovati, hanno ritardato questa pubblicazione, che, spero, d’ora in poi verrà effettuata senza ostacoli. Ma si sappia che questo ritardo non mi impedisce di comunicare questi Documenti, come ho sempre fatto, a tutti i Giudici competenti che vorranno leggerli”.
Chasles allora domandò all’Accademia di entrare ancora una volta in alcuni dettagli nel loro insieme e sull’origine primaria di quelli che riguardano particolarmente Galileo. Si tratta di una serie di lettere trovate in un ricchissimo fondo che il re Luigi XIV rintracciò dopo la morte del suo fedele collaboratore Boulliau, che lo teneva costantemente aggiornato sui progressi scientifici in tutta Europa e sui loro protagonisti. Grazie all’aiuto di Madame di Maintenon, il re poté entrare In possesso di circa duemila documenti, tra i quali le minute di alcune lettere che egli stesso aveva scritto ai sapienti di tutto il continente. Rintracciati nell’abbazia di Saint Victor, dove era morto Boulliau, naturalmente Chasles ne poteva disporre quasi per intero! La sua tesi era chiara: siccome non si trovano in Italia lettere scritte da Galileo in francese, non è perché non lo conoscesse, ma semplicemente perché egli, non fidandosi dei connazionali, le ha fatte pervenire agli amici d’oltralpe poco prima di morire. Questo patrimonio, per vari motivi, è andato disperso tra Francia e Inghilterra.
Ecco così comparire davanti ai sempre più stupefatti membri dell’Accademia un gran numero di lettere, che vengono allegate ai Resoconti, riguardanti la ricerca, durata più di un secolo, di messaggi di o su Galileo che ha interessato re, regine, loro incaricati, scienziati di tutta Europa, nobili inglesi, intellettuali, religiosi, un futuro santo e persino il Papa. Da questa collana di documenti farlocchi, estraggo alcune perle:
Da Luigi XIV al Priore dell’Abbazia di Saint Victor (20 dicembre 1696). Il re si lamenta di aver scoperto per caso e grande disappunto che il religioso ha dato al conte di Hamilton un buon numero di documenti che erano stati trasportati nell’abbazia per conto di padre Boulliau che vi morì circa due anni prima. Tra questi vi sono anche alcune lettere scritte dal sovrano. Lo prega pertanto di far ricercare con cura tra le carte che ancora sono rimaste tutte le sue lettere e di restituirgliele.
Una serie di lettere da Luigi XIV al conte di Hamilton (senza indicazione di data, ma del maggio 1697). Gli chiede la restituzione di una serie di lettere che il Priore si è permesso di consegnargli. Tra di esse anche quelle che furono inviate da Galileo, alle quali egli tiene particolarmente, con impazienza. Gli esprime anche la volontà di incontrarlo, perché non tutte le lettere sono state restituite ed è necessario che faccia altre ricerche in Inghilterra.
Dalla Regina di Francia Maria de’Medici a Francesco di Sales, predicatore in terra calvinista, allora vescovo di Ginevra (20 giugno, senza data, probabilmente il 1616). Chiede un suo intervento in favore di Galileo presso la corte papale.
Da Francesco di Sales al Papa (2 agosto). Contesta che un decreto dell’Inquisizione possa diventare articolo di fede. La Chiesa non può obbligare a credere che la Terra sia piatta, come pure credevano Lattanzio e Sant ‘Agostino. L’opinione di Copernico, che fu pure uomo di fede, fu condannata, così come lo è oggi chi la sostiene, cioè Galileo. Questa condanna non deve essere mantenuta.
Da Galileo a Mademoiselle de Gournay (Arcetri, 2 settembre 1641). Poiché si sente vicino alla fine, e non volendo lasciare i suoi scritti alle ingiurie e alla dilapidazione, dispone di lasciarli ai suoi amici. Quelli scritti in italiano resteranno dei suoi discepoli Viviani e Torricelli. Quelli scientifici che riguardano i francesi, o che gli sono giunti dalla Francia, ne dispone in favore della destinataria, di Mersenne, del giovane Pascal e dello scrittore Jean de Rotrou, secondo i loro accordi. La invita a prendere In considerazione un pacchetto di circa trecento pezzi.
Dal cardinale Bentivoglio a Pascal (24 luglio 1643).
Signore, ho appreso che il Granduca di Toscana, al quale non sono sfuggiti i talenti del defunto signor Galileo e che ne deplora la perdita, aveva deliberato di raccogliere in un unico fascicolo tutti gli scritti di questo dotto astronomo e che per questo ha aveva cercato i suoi scritti qua e là. Avendo saputo dal signor Torricelli e dal signor Viviani che parte delle carte erano passate in Francia, diede incarico ad un suo servitore di recarsi lì per riaverle, quanto più possibile. Ora dunque, temendo che ci sia qualche inganno in questo, (…) vi esorto a impegnarvi a stare in guardia e a mantenere segreti i suddetti scritti di questo grande astronomo. Perché so già che buona parte di quelli ritrovati in casa di Galileo furono dispersi, il che è un peccato. (…) Vi esorto inoltre ad avvertire anche i vostri amici che possiedono scritti di Galileo di stare in guardia, perché sarebbe un peccato se le produzioni di questo grande genio cadessero preda dei suoi nemici; ed erano numerosissimi nella sua patria. (…)
Da Pascal a M*** ( senza indicazione di luogo e data).
Signore, mi avete chiesto più volte tramite persone colte ed illustri d’Italia la comunicazione delle carte che l’illustrissimo Galileo mi aveva destinato. Mi sono sempre rifiutato di consegnarle per determinati motivi. Il primo è che sapendo che un gran numero di essi erano stati distrutti, ho temuto per essi che avrebbero avuto la stessa sorte. Sono disposto a credere che la superstizione abbia avuto molto a che fare con questa distruzione, perché si immaginava che le carte di un uomo che era stato prigioniero del sacro ufficio dovessero contenere eresie. Comunque sia, si tratta comunque di una grande perdita, anche se derivante dall’ignoranza. Questo è il motivo per cui non ho mai voluto farle tornare in Italia.
Nella seduta del 1 febbraio giunge dall’Italia un ulteriore aiuto a Chasles da parte del fedele Volpicelli. Il segretario perpetuo Élie de Beaumont presenta al consesso una nota di Volpicelli sulla data della completa cecità di Galileo. Dà pertanto lettura di alcuni passaggi della lettera di accompagnamento, nei quali egli afferma di aver replicato alle obiezioni di Padre Secchi, con nuove argomentazioni, che Galileo non aveva affatto perduto la vista nel 1637, e neanche alla metà del 1638. Egli fa sapere che Galileo aveva firmato nell’anno 1641, con molta chiarezza, una lettera a Cassiano Dal Pozzo, membro dei Lincei. Questa lettera si trova a Torino, negli archivi del Principe di Cistera, dove fu inviata dopo essere stata prelevata dalla biblioteca Albani di Roma. Volpicelli sostiene anche che la lettera inviata da Pascal a Roberval, il 16 agosto 1636, è stata scritta da Blaise Pascal e non da suo padre. La sua analisi può dimostrare che Blaise, all’età di quindici anni, era già in grado di comprendere il fenomeno dell’attrazione. In questa risposta è evidente che Beauregard è stato il primo a capire che la gravità varia all’interno della Terra. Ma, poiché Beauregard faceva parte della stessa Società Scientifica dei due Pascal, padre e figlio, possiamo essere sicuri che Blaise non ignorasse quella legge.
Marco Fulvio Barozzi